I laboratori fotografici che FSOA ha organizzato in Sicilia a fine 2021 sono stati un efficace strumento di inclusione. Vi hanno partecipato i ragazzi ospiti del SAI MSNA di Vittoria e le studentesse e gli studenti di una classe quinta dell’Istituto “G. Mazzini”. Il fotografo Vincenzo Russo racconta come si sono svolti e cosa “ha ricevuto” da questa esperienza
C’è una foto che tra tutte, racconta Vincenzo Russo, ricorda e rappresenta l’esperienza vissuta con i ragazzi di Vittoria, in Sicilia, seguiti da Fare Sistema. È uno scatto che immortala le loro mani assieme a quelle degli alunni della quinta CS dell’Istituto “G. Mazzini”, sormontate dai raggi del sole siciliano. “Le immagini parlano molto più delle parole”, dice Vincenzo, per questo quella è la sintesi perfetta del laboratorio di fotografia che lo ha visto come insegnante.
Il corso si è svolto tra novembre e dicembre scorsi, grazie al sostegno dell’Unione Buddhista Italiana, per quattro venerdì di seguito. Le lezioni erano itineranti: per le strade del centro cittadino a scoprire e ritrarre i luoghi e le architetture di interesse storico. Un’occasione per conoscere meglio la cittadina certo, ma soprattutto per mettere in gioco anche altro. I ragazzi ospiti del SAI MSNA hanno vissuto questi incontri accanto agli studenti del posto. Tutti assieme a vivere la medesima esperienza. Nota Vincenzo: “Secondo me i ragazzi stranieri in quelle due, tre ore di laboratorio mettevano veramente da parte i loro problemi e si sentivano allo stesso livello dei loro coetanei siciliani, non erano parte secondaria del progetto, ma cuore pulsante del racconto. All’inizio ci sono stati un po’ di diffidenza e un po’ di imbarazzo, ma sono stati superati presto”. Come si svolgevano queste lezioni? “Io cercavo di spiegare loro quel che so della mia professione, cedevo anche la mia macchina fotografica. L’atmosfera era allegra. A fine incontri già chiedevano cosa avremmo fatto il venerdì successivo. Si percepiva che avevano tanta voglia di esserci”.
L’obiettivo della macchina fotografica è stato un efficace strumento di inclusione. Attraverso la fotografia “siamo riusciti a conciliare culture e modi di fare diversi. Mi dicevano gli operatori del SAI che è difficile veder sorridere questi ragazzi, chissà quante storie dolorose nascondono i loro occhi, e invece ce l’abbiamo fatta. Abbiamo condiviso con loro ore di spensieratezza, e io sono stato contento di vederli felici con poco. Quando nelle pause ci sedevamo, ciascuno raccontava della propria vita, del modo in cui sono arrivati in Italia, dei loro sforzi economici per aiutare le famiglie lontane”. Il rapporto con i giovani di Vittoria com’è stato? “Ottimo. Un esempio: le ragazze della classe quinta CS hanno organizzato una sorpresa: sono andate al centro SAI e hanno portato un albero di Natale che hanno anche addobbato. Poi quando alla fine dei laboratori abbiamo allestito una mostra delle foto scattate durante le lezioni, in molti sono venuti ad aiutarmi, non me lo aspettavo. Erano tutti fieri del lavoro svolto”. Tu cosa hai “ricevuto” da questa esperienza? “Mi ha fatto tornare con i piedi per terra: ci sono realtà che noi nemmeno pensiamo possano esistere”.