Quante direzioni diverse può prendere una vita quando si trova a un bivio? Michael non pensava di attraversare il Mediterraneo, né di approdare in Italia. Era andato in Libia solo per lavorare ma si è poi reso conto che rimanervi era troppo pericoloso e tornare indietro, in Nigeria, praticamente impossibile. L’unica strada era prendere il mare. Dopo un primo periodo difficile, a Roma ha cambiato progetti, trovato una passione da far diventare mestiere e riacquistato fiducia, in parte grazie anche a FSOA
La vita non va sempre come dovrebbe: è la lezione che Michael, 27 anni, ha imparato nel suo peregrinare dalla Nigeria all’Italia. Ed è quello che ripete più volte nel corso della conversazione, quando, a stento, con discrezione e con tono molto pacato racconta la sua storia di migrante. Non è andata come immaginava qualche anno fa. Un suo amico gli aveva parlato di un possibile lavoro in Libia, e Michael era partito, pensando di rimanere il tempo necessario a guadagnare qualche soldo e poi tornare a casa, ma dalla Libia non si torna indietro, il ragazzo aveva capito che rimanere era troppo pericoloso e per scappare c’è solo il mare. Non aveva mai progettato di trasferirsi in Italia, ma a quel punto è diventata l’unica meta possibile per ripararsi in un luogo sicuro.
Da solo, senza altre persone che potesse conoscere, ha preso il suo posto su una barca. Il mare? “Non è stata una bella esperienza, è una cosa che non va bene”: riassume con queste poche parole il racconto della navigazione nel Mediterraneo. Se provi a chiedere di più, apre un piccolo spiraglio tra i suoi ricordi: “Sì, abbiamo avuto problemi, ma alla fine siamo arrivati in Italia”.
Una volta sceso a terra, “ho pensato che dovevo cercare di vivere e mettere a posto la vita”. I primi tempi per Michael, in Italia, senza documenti, sono stati complicati e inquieti, per via della regolarizzazione che tardava a venire: “Quando uno non ha documenti non può fare niente. C’è voluto tanto, tanto, tanto tempo per ottenerli. Come puoi vivere senza? Non ce la fai”. E’ come trovarsi a un bivio: da lì il futuro può prendere due direzioni diverse. Infatti, dice adesso Michael: “La vita potrebbe andare molto peggio senza documenti”. Perché senza non puoi trovare lavoro, quindi non puoi progettare in autonomia i tuoi giorni.
“Poi le cose sono cambiate piano piano”. Michael è stato ospitato presso il convento San Francesco a Ripa a Trastevere, Roma, all’interno del progetto di accoglienza “Ripa dei Settesoli”. Sono trascorsi otto anni dal suo arrivo in Italia, anni in cui ha frequentato corsi di cucina, ha lavorato, ha subìto uno stop causa pandemia, e adesso seguito da Fare Sistema Oltre l’Accoglienza, e grazie ai fondi dell’8×1000 dell’Unione Buddhista Italiana, sta svolgendo un tirocinio lavorativo. “La mia vita va benissimo, l’Italia è un Paese tranquillo e io ho fiducia adesso”. In Nigeria non è più tornato. “Ti piacerebbe?”. “Sì, ma solo per andare a trovare la mia famiglia. Voglio stare qui e trasformare la mia passione per la cucina nel mio mestiere. Il mio sogno è solo questo”. Dice che sa cucinare bene la pasta, Michael, la matriciana soprattutto. Spera in un contratto di lavoro che gli possa permettere di andare a vivere da solo. Non vuole altro da quella vita che otto anni fa aveva preso una direzione inaspettata.