La scuola può essere uno dei posti più efficaci per sperimentare l’inclusione. La professoressa di filosofia Maria Paola Patanè racconta l’esperienza del laboratorio di fotografia organizzato da Fare Sistema che ha visto la partecipazione di ragazzi siciliani e ragazzi stranieri. L’uno accanto all’altro
Il ruolo dei volontari è essenziale nella rete di Fare Sistema. Tutti possono dedicare un po’ del loro tempo per accompagnare i nostri ragazzi in un tratto del loro percorso in Italia, ciascuno in base alla propria disponibilità. Tra questi, la professoressa Maria Paola Patanè, insegnante a Vittoria in Sicilia, che lo scorso anno ha seguito un laboratorio itinerante di fotografia in cui hanno partecipato – tutti assieme – i ragazzi ospiti del SAI e i ragazzi della classe quinta del liceo di Scienze Umane “Giuseppe Mazzini”.
Il laboratorio era stato organizzato da Fare Sistema ed è stato un esempio riuscito di come si possa mettere in pratica l’inclusione a scuola: l’obiettivo – ricorda l’insegnante – era sì l’apprendimento dei rudimenti della fotografia, ma anche e soprattutto “far incontrare i ragazzi, farli parlare tra di loro, spronarli al dialogo”.
E com’è andata? “La prima volta che si sono visti era inevitabile che ci fosse una po’ di imbarazzo reciproco. Si osservavano da lontano, ma in brevissimo tempo, molto prima di quanto io mi aspettassi già in qualche modo comunicavano, ridevano, scherzavano, si scambiavano i numeri di telefono. È stato bellissimo vedere nascere via via delle vere amicizie. Si sono raccontati un po’ le loro storie, la loro vita, i gusti musicali, gli sport praticati, i passatempi, gli hobby”.
La conoscenza diretta tra i giovani del SAI e gli studenti dell’istituto superiore di Vittoria “ha smontato letteralmente qualsiasi forma di pregiudizio o stereotipo, e questo era il traguardo che mi ero prefissa. Credo del resto che sia esattamente questo lo spirito giusto per far parte della rete di Fare Sistema”. Dai primi incontri in giro per la cittadina di Vittoria a scattare fotografie e a scambiarsi parole sono nate delle simpatie. Si sono moltiplicati gesti di generosità. Come quello del Natale scorso.
La professoressa Patanè lo racconta con orgoglio e soddisfazione: “Quando sono arrivate le vacanze natalizie un gruppo di alunne e alunni del liceo è andato al SAI di Vittoria con un pacco di decorazioni natalizie e insieme ai ragazzi ospitati nel centro hanno addobbato l’albero. Nei giorni seguenti si sono rivisti, hanno organizzato pranzi in cui entrambi i gruppi cucinavano ciascuno i propri piatti tradizionali. Ogni volta mi mandavano foto e video di questi incontri: se li vedi ti rendi conto dell’affetto, dell’armonia, dell’amicizia nati tra questi giovani”.
Ma non sono stati solo gli studenti e le studentesse ad avere appreso qualcosa. L’insegnante di filosofia racconta d’aver scoperto “la grande timidezza che possono avere questi ragazzi stranieri che sono arrivati qui, in un territorio per loro sconosciuto, senza punti di riferimento, senza legami. Ma a volte basta poco per scalfire questo loro carattere introverso, basta sorridergli, basta coinvolgerli, basta ascoltarli. Basta far loro capire che quei coetanei che hanno davanti sono sì stati più fortunati, ma sono uguali a loro. Tutto questo io l’ho visto realizzato sotto i miei occhi, per la prima volta, grazie al laboratorio di fotografia organizzato da Fare Sistema”.
E le famiglie dei suoi alunni hanno avuto parte in questo progetto? “Ho trovato veramente apertura e una disponibilità da parte dei genitori, ovviamente a loro spettava firmare autorizzazioni e liberatorie per le fotografie. Le famiglie hanno dimostrato una sensibilità che sinceramente non mi aspettavo. Soprattutto in una occasione. Uno dei ragazzi del SAI ha gravi problemi a un occhio e i genitori dei miei alunni si sono attivati per farlo visitare accuratamente da un oculista. Il laboratorio di Fare Sistema ha suscitato una catena di solidarietà”.
La professoressa Patanè ha sempre avuto attenzione, nella sua carriera scolastica, ai temi dell’inclusione e delle diversità culturali, “ma una cosa è cercare di parlarne dentro un’aula con un libro di testo o guardando film e documentari. Tutt’altra cosa è vivere direttamente l’esperienza dell’inclusione, far sperimentare ai ragazzi il contatto con una cultura diversa. Mi auguro lo si possa fare sempre più spesso”.