Rachele Pizzi, psicologa FSOA: “Rendiamo preziose le persone”

“Cerchiamo prima di tutto di conoscere il ragazzo o la ragazza che abbiamo davanti e fornire un sostegno emozionale che punti a instaurare un rapporto di fiducia. Poi ci diamo [...]

“Cerchiamo prima di tutto di conoscere il ragazzo o la ragazza che abbiamo davanti e fornire un sostegno emozionale che punti a instaurare un rapporto di fiducia. Poi ci diamo dei micro obiettivi da raggiungere assieme a loro. C’è un aspetto che non dobbiamo tralasciare soprattutto quando si tratta di persone giovani: il diritto al sogno. Che non esclude la necessità di studiare e di lavorare”

Rachele qual è stato il tuo percorso professionale prima di approdare a Fare Sistema Oltre l’Accoglienza?
Lavoro da diversi anni come psicologa nei processi di inclusione e di integrazione per richiedenti asilo e rifugiati, che siano minori, adulti o donne vittime di tratta. Per circa sette anni ho lavorato anche in Inghilterra sempre nel settore umanitario, concentrandomi – negli ultimi tempi che ero all’estero – nel sostegno emozionale a famiglie che dovevano essere rimpatriate in Nigeria, o in Pakistan, o in Somalia: spesso si trattava di bambini costretti a tornare nei paesi di origine dei loro genitori senza esservi nati, che venivano quindi totalmente sradicati dal contesto in cui erano cresciuti fino a quel momento.

Ora invece fai parte del team di FSOA?
Sì, lavoro con Fare Sistema e con il CIR (Consiglio Italiano per i Rifugiati), in più sono iscritta al tribunale di Roma come tutrice volontaria di minori stranieri e seguo un ragazzo originario della Costa d’Avorio.

In che cosa consiste, in particolare, il tuo ruolo con Fare Sistema?
È un ruolo complesso, che però non svolgo da sola, collaboro con una vera e propria equipe multidisciplinare, una rete in cui sono presenti diverse figure, che possono essere gli operatori degli SPRAR, le organizzazioni sul territorio, le aziende, le famiglie o i singoli che aderiscono come volontari… Tutto questo perché fondamentalmente cerchiamo di rispondere ai bisogni dei ragazzi e delle ragazze che seguiamo all’interno del programma FSOA. Un supporto che si articola su più fronti, per esempio medico, legale, ma anche formativo e lavorativo.

Qual è il primo passo?
Il primo passo è quello del colloquio. Cerchiamo prima di tutto di conoscere il ragazzo o la ragazza che abbiamo davanti e fornire un sostegno emozionale che punti a instaurare un rapporto di fiducia. Sono persone che hanno alle spalle esperienze molto difficili, spesso umanamente degradanti, che riemergono nella loro quotidianità e incidono nella vita di tutti i giorni. Bisogna quindi iniziare dalla fiducia perché queste persone, nonostante le sofferenze passate, riescano ad affidarsi a noi.

Poi?
Il secondo passo consiste nell’instaurare un rapporto “interattivo”: la persona deve avere un ruolo attivo nel percorso che decide di intraprendere assieme a Fare Sistema. In alcuni casi la strada è abbastanza lineare: conosciamo la persona, raccogliamo la sua storia, sviluppiamo una valutazione, cerchiamo di recepire i bisogni e le aspettative. Quindi, senza mai sovraccaricarla, ci diamo dei micro obiettivi, il tutto nel rispetto delle inclinazioni e anche dell’età.

Con i ragazzi e le ragazze più giovani questo primo impatto è più o meno semplice?
Se la persona è giovane – spesso sono neomaggiorenni – c’è un aspetto di cui dobbiamo sempre avere cura e non dobbiamo tralasciare: la dimensione del sogno. Mi spiego meglio: ci sono ragazzi che sognano di giocare a calcio o di diventare cantanti. All’inizio questa cosa mi sembrava strana, mi dicevo, hanno attraversato mezza Africa, poi il Mediterraneo, arrivano qui e ti dicono “mi piacerebbe cantare”. Mi aspettavo più concretezza considerando i pericoli e le sofferenze da cui provengono. Invece no: i sogni, le passioni, sono dimensioni che vanno coltivate a quell’età, perché hanno perso così tanto nelle loro vite che rischiano di sentirsi in dovere di non sognare, come se non ne avessero il diritto. Noi questa dimensione gliela vogliamo – e gliela dobbiamo – restituire. Accanto però alla progettazione di un percorso formativo e lavorativo concreto. Una cosa non esclude l’altra.

Qual è lo scoglio più grande che si trovano ad affrontare emotivamente?
Le pressioni che subiscono da più lati. Le esperienze traumatiche vissute nei Paesi di origine e quelle affrontare durante il viaggio, e l’impatto con il contesto di accoglienza che può essere un nuovo trauma: sono abituati a superare tutto, anche il Mediterraneo – hanno ben chiaro il fatto che potrebbero non farcela – ma le loro motivazioni sono molto forti, perché pensano che in Europa la loro vita cambierà. A questo si aggiungono le pressioni delle loro famiglie di origine. Invece arrivano qui e spesso si trovano di fronte a un sistema che non riesce a supportarli. A quel punto perdono la speranza e il trauma può essere devastante. Gli adulti sono i più colpiti, i ragazzi reagiscono, sono più resilienti.

Come si inserisce Fare Sistema in questi percorsi?
Rendiamo preziose le persone, costruiamo progetti assieme a loro attraverso il PIA (piano individuale di autonomia). È la loro identità che a un certo punto è come se fosse spezzata, noi la “ripariamo” . Facciamo un bilancio di competenze, mettiamo in evidenza le capacità trasversali, che non sono quelle direttamente legate a un mestiere, ma quelle che fanno riaccendere nella persona la coscienza di valere qualcosa, sembrerebbero aspetti banali ma sono importantissimi: la puntualità, la capacità di organizzarsi e di prendersi cura di se stessi, come per esempio presentarsi a un colloquio di lavoro in maniera adeguata… E costruiamo progetti assieme, attivando le loro risorse in maniera anche molto pratica. Parli poco l’italiano? Prima di andare a lavorare devi fare un corso, altrimenti come fai? Hai bisogno di un lavoro? Compiliamo insieme il curriculum…

Quali sono i percorsi che hai seguito con Fare Sistema per i quali hai pensato “ce l’abbiamo fatta”?
Per fortuna è successo tante volte. Ti racconto dell’ultima: la storia di Abdallah. Il ragazzo era arrivato dalla Siria con un corridoio umanitario, una persona molto in gamba. Ha avuto la fortuna di essere ospitato da una comunità di famiglie (che fa parte della Rete di Fare Sistema) dove ha imparato velocemente la lingua italiana. FSOA ha facilitato il suo inserimento professionale nel settore amministrativo di Leroy Merlin attivando un tirocinio che per noi era anche una scommessa perché di solito i tirocini vengono svolti in altri settori. È un grande traguardo, abbiamo sempre creduto in lui, e infatti i suoi tutor in azienda sono molto soddisfatti.

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