Tra le ultime arrivate nella rete di associazioni che aderiscono a Fare Sistema Oltre l’Accoglienza c’è l’Arci RED di Cosenza, un’associazione voluta da un gruppo di donne calabresi che propone spazi di discussione, di ascolto, di accoglienza e di orientamento ai servizi del territorio. Abbiamo chiesto a Chiara Davoli – presidente e socia fondatrice – il perché di questa adesione e quali sono i possibili e futuri terreni di collaborazione con FSOA
Chiara, quando avete aperto Arci RED?
La nostra nascita è recente: siamo nate ufficialmente a marzo. Per essere più precisi il 4 marzo. Data memorabile: il giorno dopo, il 5 ci sono state le prime chiusure per arginare la diffusione del Covid. Quindi molte delle attività le abbiamo pensate proprio durante il lockdown.
Perché Arci RED?
RED sta per Resilienza, Empatia, Diversità. L’associazione nasce con un’ottica femminile, perché ci ha sempre colpito il fatto che sulle donne si investisse di meno in termini di progetti e di fondi per la formazione, che magari ci sono ma tornano indietro perché non impiegati. Ma Arci RED nasce anche per inserirsi nella terza accoglienza: ci siamo rese conto che in Calabria manca un sistema di associazioni – una rete – che risponda alla domanda: e dopo che succede? Per esempio la prima cosa che è venuta in mente ad alcune nostre socie fondatrici che lavorano o lavoravano nel sistema dell’accoglienza è un percorso di sostegno e formazione sulla didattica a distanza per mamme migranti. Già la lingua è un fattore discriminante, di profonda difficoltà, però sulla lingua si fa già un grande lavoro di alfabetizzazione. Con la didattica a distanza sperimentata durante la primavera scorsa i problemi sono stati anche altri. Per esempio: una mamma siriana aveva tre figli che dovevano seguire le lezioni online. Gli scogli erano due: il linguaggio informatico e la disponibilità di device. Abbiamo cercato di intervenire partecipando a una raccolta fondi per comprare dei computer o per riabilitarne degli altri.
Chi ha bisogno di voi dove può trovarvi?
Abbiamo una sede al centro di Cosenza, in Corso Telesio, dove proponiamo diversi servizi. Come, per esempio, lo sportello ostetrico. È sempre garantita la presenza di una mediatrice che parla più lingue. Ora causa Covid siamo aperti solo su prenotazione. Agli sportelli si può accedere in forma gratuita e anonima. Abbiamo all’attivo un corso di arabo online. Vorremmo lanciare anche il corso di italiano per gli stranieri. Ci avvaliamo della collaborazione di altre realtà. Abbiamo tanti progetti.
E con Fare Sistema che progetti avete?
In primavera abbiamo fatto una chiacchierata con Sara Ambrogio, referente FSOA in Calabria. Sono rimasta colpita dalla serietà di Fare Sistema Oltre l’Accoglienza e credo sia molto interessante la mappatura delle aziende con cui poter collaborare all’inclusione che qui sta facendo FSOA. Abbiamo un territorio comune su cui poter agire. Abbiamo bisogno di fare rete, di lavorare con altri. Per esempio potremmo mettere a disposizione una volta a settimana il nostro sportello per avviare un’iniziativa congiunta che riguardi l’assistenza legale: è su questo che per ora stiamo ragionando con Sara.
Com’è il rapporto con le istituzioni?
Abbiamo cercato la collaborazione delle istituzioni, ma finora non ci hanno supportato granché. Ho in mente come modello l’Emilia Romagna o la Lombardia che sono regioni con cui ho avuto a che fare quando lavoravo per alcune ONG: ho avuto dunque l’opportunità di vedere cosa e come si può fare. In Calabria è un po’ più difficile. Ma noi ci proviamo e ci proveremo sempre perché il nostro ruolo è anche quello di sensibilizzare ed essere combattive su questo fronte.
Finora chi si è rivolto al vostro sportello?
Donne straniere soprattutto. Che hanno completato il percorso di accoglienza e sono venute a manifestarci il loro interesse per l’accompagnamento all’autoimpiego. Durante l’estate, per esempio, è venuta una signora siriana che voleva aprire una bancarella per cucinare dolci tipici. Da una parte non è facile, bisogna essere realistici, dall’altra come fai a tarpare le ali a chi ha dei progetti, dei sogni? Le abbiamo detto: inizia a fare dei dolci per noi che possiamo distribuire per fare raccolta fondi e farle guadagnare qualcosa. Un’altra volta è venuta una richiedente asilo ucraina che aveva dei problemi di salute, ma per via del decreto-Salvini non aveva la possibilità di accedere all’iscrizione anagrafica e di conseguenza al medico di base. Non era più in accoglienza, era in Calabria già da tempo. Abbiamo cercato di aiutarla.
È un lavoro difficile?
Ne sentiamo il peso. Ci rendiamo conto delle necessità, sebbene il periodo che stiamo vivendo sia molto complicato. D’altra parte c’è da dire che la propensione dei migranti all’impresa è grande. Hanno poco da perdere e hanno – soprattutto – qualcosa che spesso a noi manca: la resilienza. Ecco, la nostra sfida è quella di semplificare i loro percorsi. Bisogna essere solidali fattivamente.