“L’accoglienza è una cosa semplice”

“Faccio volontariato da trent’anni con i minori a rischio” racconta Anna Torino, maestra elementare di Santa Anastasia (Napoli), “quando abbiamo sentito parlare del programma per famiglie di Fare Sistema Oltre [...]

“Faccio volontariato da trent’anni con i minori a rischio” racconta Anna Torino, maestra elementare di Santa Anastasia (Napoli), “quando abbiamo sentito parlare del programma per famiglie di Fare Sistema Oltre l’Accoglienza, mio marito e io abbiamo aderito. Eravamo preparati all’accoglienza, ma con Evans è stato diverso: lui si porterà sempre dentro la certezza che ha una famiglia su cui poter contare in Italia”

Anna quando è iniziata la vostra esperienza con Fare Sistema Oltre l’Accoglienza?
Tre anni fa. È allora che abbiamo conosciuto Evans. Avevamo sentito parlare della rete di famiglie FSOA all’interno del Movimento dei Focolari, di cui facciamo parte. Nella nostra vita c’è sempre stata l’accoglienza. Avevamo fatto e facciamo in continuazione queste esperienze, qui a Santa Anastasia dove viviamo, prendendo parte a diverse iniziative. Io sono un’insegnante di scuola primaria, e mi dedico anche al volontariato con i minori a rischio da ormai trent’anni. Insomma, eravamo preparati a questo passo.

Come vi siete trovati?
Bene. Ci siamo sentiti da subito liberi, nel senso che non eravamo obbligati a seguire nessuna linea. Si chiedeva a noi, come famiglia, quello che potevamo fare o dare con la massima semplicità. Questo è uno dei motivi che ci ha convinto ad accettare: potevamo scegliere le modalità con cui seguire il ragazzo o la ragazza che avremmo accolto.

Quali sono stati i primi passi?
Siamo andati nella casa-famiglia di San Giorgio a Cremano che ci era stata indicata. Abbiamo avuto un colloquio con il responsabile e abbiamo incontrato i ragazzi. Lì c’era Evans. All’epoca aveva sedici anni. Scherzava, rideva, agitava i suoi capelli ricci, si distingueva dagli altri per questo sua allegria. Ci ha colpito per questo. Ma è stato lui in qualche modo a sceglierci.

E poi?
Poi Evans ha cominciato a frequentare la nostra famiglia. Ci si vedeva la domenica. All’inizio, per non farlo sentire in difficoltà, organizzavamo le nostre uscite insieme a un’altra famiglia che aveva accolto anch’essa un ragazzo: siamo andati a vedere delle partite di pallone, abbiamo fatto delle passeggiate, ci sedevamo a prendere un caffè… tutte cose semplici. Poi abbiamo scelto di continuare il percorso di accoglienza da soli, perché era giusto che lui capisse che la famiglia cui far riferimento eravamo noi. Durante la settimana andava a scuola per imparare a fare il parrucchiere (il suo sogno) e la domenica mio marito lo andava a prendere per trascorrere la giornata di festa insieme a noi. Senza che glielo chiedessimo, aveva scelto anche di venire a Messa con noi la mattina. Poi tutti a pranzo a casa, dove spesso c’erano anche i nostri tre figli con le rispettive famiglie.

Il rapporto con i tuoi figli com’era?
Ottimo. Si mettevano a chiacchierare in inglese. Hanno fatto amicizia. Una mia nipotina la prima volta che l’ha visto si era tirata indietro. Ma Evans è stato molto bravo: si è messo a giocare pian piano con lei e la bambina si è sciolta. I bambini capiscono meglio di noi che siamo tutti fratelli, che non c’è nessuna differenza tra esseri umani.

Che ragazzo è Evans?
Come la prima volta che lo abbiamo visto: socievole, allegro, aperto, si fa voler bene. È venuto in Italia dalla Nigeria, insieme a due sorelle. Ci ha raccontato del suo Paese, della sua famiglia, ed era curioso di conoscere le nostre abitudini. Il primo Natale che ha trascorso con noi era emozionato quando ha scartato i regali: non se lo aspettava. È stata una sorpresa. Ci ha abbracciato tutti quanti.

Ora è diventato maggiorenne?
Sì. Infatti alcune cose sono cambiate. Lavora in un centro commerciale vicino Caserta e vive in un appartamento a Napoli con altri ragazzi. Ci vediamo di meno rispetto a prima, ma lui sa che questa sarà sempre una famiglia su cui poter contare per qualsiasi cosa. Ha la certezza che la nostra accoglienza continuerà a sostenerlo, che saremo sempre un appoggio per lui. Qui, da noi, si sente a casa.

Cosa vi ha insegnato questa esperienza?
Che l’accoglienza è una cosa semplice. Più semplice di quanto si immagini. L’appuntamento settimanale con Evans era entrato nella quotidianità ed era un’esperienza concreta: stare gomito a gomito con la persona, guardarla negli occhi, parlarle. Tutto questo suscita emozioni. Abbiamo imparato che sì esistono culture diverse, modi di fare diversi, ma poi siamo tutti fratelli. Il confronto ti arricchisce: non è solo una questione di dare, ma anche di avere. Capisci che spesso hai dei pensieri prefabbricati. Inesatti. Non bisogna dare niente per scontato.

L’accoglienza è veramente una cosa semplice, come ci ha raccontato Anna. Tutti possono mettere a disposizione il proprio tempo per contribuire a creare una “rete di sicurezza” per i protagonisti del programma FSOA. Qui trovate tutte le informazioni.

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