Mondo di Comunità e Famiglia è un’associazione che raggruppa diverse comunità di famiglie che vivono l’esperienza di una vita condivisa e votata all’accoglienza. Marco Balsi è tra i fondatori di una di queste comunità. Vive a pochi chilometri da Roma in un casale assieme ad altri nuclei famigliari. Ed è anche tutore di due minori stranieri non accompagnati: cosa questa che lo ha spinto a interessarsi a Fare Sistema Oltre l’Accoglienza, incrociandone quasi per caso la strada
Marco, che cos’è “Mondo di Comunità e Famiglia”?
È un’associazione di Comunità di Famiglie. Nasce dall’esperienza della comunità di Villapizzone di Milano: era il 1978 e alcune persone, famiglie e padri gesuiti si erano riuniti per sperimentare un modo di vivere basato su condivisione, accoglienza e solidarietà. Andarono a vivere in una cascina di Quarto Oggiaro ristrutturata da loro stessi. Quell’esperienza esiste ancora. Negli anni si sono formate altre comunità che si ispirano a Villapizzone, soprattutto al centro nord, e aderiscono a quell’associazione. Oggi sono trentasette. Noi siamo una di quelle.
Come siete nati?
La mia comunità è nata negli anni Ottanta grazie a un gruppo di giovani che ha deciso di vivere assieme e accogliere ragazzi in affido, dato che proprio in quel periodo era stata varata la legge sull’affido. All’epoca avevamo condizioni familiari diverse da oggi, non eravamo sposati. Poi col passare del tempo queste condizioni sono mutate, ma abbiamo deciso ugualmente di continuare a vivere insieme come famiglie, non più come singoli. Abbiamo comprato un casale a nord di Roma, poco fuori dal raccordo e ci siamo trasferiti tutti lì. Ora siamo quattro famiglie che vivono in un grande appartamento condividendo alcuni spazi, come la cucina e la sala da pranzo. Nel nostro casale vivono anche altre famiglie che non hanno aderito a Mondo di Comunità e Famiglia.
Su quali principi si basa la vostra vita comunitaria?
Sull’accoglienza e la condivisione. Un anno e mezzo fa abbiamo deciso di accogliere due stranieri arrivati con il corridoio umanitario: sono dei rifugiati che correvano il rischio di essere arrestati nel loro Paese, per via del loro attivismo politico. Ma questa è solo una delle ultime esperienze. Siamo semplicemente una grande famiglia che apre le porte; da noi ci sono delle stanze destinate proprio all’accoglienza. Decliniamo l’ospitalità in tante forme: un bambino in affido, un ragazzo straniero che ha bisogno di un appoggio per studiare in Italia, nel tempo in tanti hanno fatto un tratto di strada vivendo con noi.
Su questa strada quando hai incontrato Fare Sistema Oltre l’Accoglienza?
Per caso, direi. Ho trovato un depliant di FSOA poggiato su un tavolino in uno degli incontri di Casa Betania. L’ho iniziato a sfogliare e mi sono subito interessato. Sono tutore di due minori stranieri non accompagnati e dentro quel pieghevole ho trovato la risposta a una domanda che mi facevo spesso: cosa succede a questi ragazzi dopo i diciotto anni? È importante capire come poterli accompagnare verso una vita autonoma. I due ragazzi diventeranno beneficiari del Programma così da avere un sostegno una volta usciti dall’accoglienza.
Marco, se ti chiedo di spiegarmi cos’è l’accoglienza, dato che ne hai fatto una scelta di vita così fondamentale, cosa mi rispondi?
Già, sono venticinque anni che “vivo” di accoglienza. Ora il concetto è cambiato, rispetto a prima, c’è una presenza maggiore di persone immigrate. Mi rendo conto però che praticare l’accoglienza è più facile unendo le energie. La nostra forza sta nel fatto che sì siamo una comunità di famiglie che non vuole chiudersi in se stessa, però ha le possibilità farlo, a cominciare dagli spazi fisici. E ci sosteniamo a vicenda. Agire da soli è senz’altro più complicato. Una famiglia sola magari ha più remore all’accoglienza, dovendo far fronte a una quotidianità che può essere difficoltosa: non si può ridurre l’accoglienza a un semplice slancio di bontà, perché poi c’è la realtà da affrontare. E poi c’è un altro aspetto da raccontare: l’accoglienza è un dono, come dice Papa Francesco. Non dobbiamo privarcene. Far entrare in casa persone che all’inizio sono degli estranei è un arricchimento.
Siete riusciti a coinvolgere anche i vostri figli in questa scelta?
Sì, in questi ultimi anni, ora che sono tutti cresciuti, sono stati anche loro a dirci, noi lo possiamo fare. Per i nostri figli la Comunità è stata il loro modo di crescere in una famiglia, non ne hanno conosciuto un altro. Da piccoli si sono molto divertiti a giocare tutti insieme e spesso all’aria aperta. Con l’adolescenza hanno sofferto un po’ soprattutto il fatto di vivere in una casa isolata dalla città. Crescendo si sono resi conto di vivere un’esperienza diversa. La Comunità però ha insegnato loro a saper gestire le relazioni, fin da bambini. Ora sono ragazzi abituati alle relazioni sociali. E sanno accogliere.