È stato un gesto naturale, spontaneo, quasi doveroso quello del maestro Ciro Servillo quando ha deciso di insegnare l’italiano ai migranti come volontario. Una vita dietro la cattedra e, dopo la pensione, la scelta di mettere a disposizione la sua esperienza quarantennale. Perché? La risposta è semplicissima: “Volevo solo aiutare chi ne aveva bisogno”
“È una storia che parte da lontano”… è così che il maestro Ciro Servillo, settantuno anni, di Rogliano, in Calabria, inizia a raccontare la sua esperienza come volontario. È da poco andato in pensione, quando nell’agosto del 2011 in questo angolo di provincia cosentina cominciano ad arrivare i primi migranti. Non sono ancora i ragazzi di Casa di Ismaele, che sarebbe nata qualche anno dopo, ma un centinaio di profughi per la maggior parte libici e siriani ospitati in un centro di accoglienza allestito presso l’ex hotel “La Calavrisella”. Pochissimi di loro sanno parlare o comprendono l’italiano: “Li vedevo girovagare per le strade del paese, avevano grosse difficoltà a dialogare, ho pensato di mettermi in contatto con la struttura”. Come fosse un gesto naturale, spontaneo, quasi necessario il maestro Servillo si offre di insegnare l’italiano a questi ragazzi arrivati dall’altra parte del Mediterraneo. “Chi è stato maestro lo è per sempre, per questo ho messo a disposizione la mia esperienza quarantennale, volevo aiutare chi ne aveva bisogno”.
Da subito però si accorge che non si tratta semplicemente di insegnare una lingua: “Credo che avessero soprattutto bisogno di sentirsi vicini agli altri, la lingua era solo uno strumento”. Uno strumento fondamentale per creare relazioni: infatti nel piccolo centro di Rogliano qualcosa pian piano cambia: “Per noi era un fenomeno nuovo, cui non eravamo preparati. L’incontro tra culture presuppone una preparazione di base, e a questa comunità mancava”. Il maestro Servillo è tra i primi a mettersi in gioco come volontario: quando qualche tempo dopo si ripresenta l’occasione di insegnare l’italiano ai minori di Casa di Ismaele è di nuovo in prima linea, aderendo a Fare Sistema Oltre l’Accoglienza. Nuove emozioni e soddisfazioni, a volte si tratta di cominciare daccapo con persone mai scolarizzate: “C’era un ragazzo che teneva in mano la penna come fosse un pugnale, quando ha imparato a scrivere il suo nome era contentissimo, per la prima volta era riuscito a firmare un documento, e venne a cercarmi per farmi vedere quella carta verde con sopra la sua firma. Era come se avesse trovato la sua identità”.
In quel momento il maestro Servillo si rende davvero conto dell’importanza dell’aiuto che si può dare gratuitamente agli altri. E con questi “altri” diventa naturale instaurare dei rapporti più saldi: “Faccio spesso lunghe passeggiate con Lamine, uno degli ospiti della Casa. Quando ha perso il papà era molto abbattuto, ho cercato di parlargli e lui mi ha raccontato della sua famiglia in Senegal”. Il signor Ciro vorrebbe che tutti facessero un po’ di più per accogliere: leggi diverse, più strumenti anche economici, una cultura maggiormente disposta ad aprirsi, riconoscere che i migranti hanno diritto a innalzare la loro dignità di uomini: “Siamo ancora impreparati. Non abbiamo messo in conto quello che era prevedibile potesse accadere nel terzo millennio: persone che si spostano da un continente all’altro per trovare più serenità o più democrazia. Non siamo mica padroni della terra: siamo ospiti come tutti gli altri. Bisogna essere capaci di comprensione”. Bisognerebbe, forse, essere capaci di fare un primo piccolo passo, come ha fatto il maestro Ciro Servillo quando ha scelto di diventare volontario.
Chiunque può diventare volontario come il maestro Ciro Servillo. Ciascuno può mettere a disposizione parte del proprio tempo per aiutare i ragazzi di Fare Sistema Oltre l’Accoglienza. Qui trovate tutte le informazioni.