Come tutti i figli del mondo, anche i ragazzi di Fare Sistema hanno bisogno di un appoggio, di un consiglio, di qualcuno che li accompagni dal dentista o che li stia a sentire se hanno voglia di raccontare di sé. Rosella Carnevale è uno dei volontari di Fare Sistema di più lunga esperienza e non ha intenzione di abbandonare questo aspetto della sua vita, perché “di volontari c’è assoluto bisogno”
Rosella Carnevale è una volontaria “storica” di Casa di Ismaele, a Rogliano. Una delle prime a dare la sua disponibilità in maniera generosa e gratuita entrando nella Rete di famiglie di Fare Sistema Oltre l’Accoglienza. Lo racconta con grande semplicità: “Era il 2017 c’erano tutti questi ragazzi che sbarcavano sulle nostre coste, era vera e propria emergenza, qualcosa dovevamo fare. Dovevamo renderci utili”. Rosella, che già faceva parte del movimento dei Focolari e già lavorava con i minori in una casa famiglia di Cosenza ha sentito l’urgenza di mettersi a disposizione. Da qui è iniziato il cammino che la lega a Fare Sistema e a Casa di Ismaele, fondando anche l’associazione MI.FA. (Missione Famiglia onlus), uno dei partner di FSOA.
“Siamo partiti così, sull’onda della necessità di agire. Abbiamo iniziato a fare quello che potevamo: c’era chi dava loro lezioni di italiano, chi li andava semplicemente a trovare per cenare assieme la sera e farli sentire a casa, li abbiamo incoraggiati a partecipare agli sport presenti sul territorio. Credo fossero contenti di vedersi attorniati da persone, di non essere soli. Poi sono arrivati anche i tirocini e i contratti di lavoro”.
Da allora la presenza di Rosella è diventata una costante, come quella della Rete di volontari pronti a muoversi quando se ne presenti l’occasione. Dalle cose più piccole, come accompagnarli in automobile dal dentista fino a Cosenza, o partecipare tutti assieme a delle gite, fino alle situazioni più delicate, in cui i giovani minorenni necessitano di un sostegno. “È successo per esempio che un ragazzo dovesse venire operato d’urgenza. Non essendo maggiorenne è stato ricoverato in un reparto pediatrico e non poteva quindi essere lasciato solo, aveva bisogno di assistenza giorno e notte. Allora abbiamo fatto rete, ci siamo alternati – operatori e volontari – per stargli accanto. Inoltre lui non parlava italiano ed era molto spaventato, soprattutto quando gli facevano i prelievi del sangue, cosa che succedeva spesso perché dovevano monitorare alcuni valori. Ecco: in quell’occasione posso dire che c’è stata una gara d’amore”.
Quanto è indispensabile questa rete di volontari? “Ce n’è sempre bisogno. Sono ragazzi, spesso poco più che fanciulli, i quali però nel loro viaggio per giungere in Italia hanno vissuto esperienze che li hanno resi uomini troppo presto. Quando arrivano hanno gli occhi tristi e non sempre la voglia di raccontare. Ti accorgi che vorrebbero lasciarsi tutto alle spalle. Ma se trascorri un po’ di tempo con loro, se dedichi loro attenzione e cura, si aprono. Qualcuno mi ha anche chiamato mamma. Perché hanno bisogno di punti di appoggio, di sentirsi accolti e partecipi, come tutti i figli del mondo. Si rasserenano quando cominciano a trovare un loro posto in comunità, che sia la scuola o il lavoro. Anche se il loro pensiero è sempre rivolto alle famiglie che hanno lasciato nei Paesi di origine, e a come aiutarle”.
Con l’arrivo della pandemia, le occasioni di stare tutti assieme si sono rarefatte. Ma Rosella continua a dare la sua disponibilità e a sorridere di qualche piccolo contrattempo: “Hanno i loro tempi. Cioè non sono abituati a guardare l’orologio, quindi ogni appuntamento è un po’ vago. Però è bello anche così! Beati loro, sono più liberi!”