Anna ci racconta la storia delle vacanze di Pasqua, durante le quali con suo marito Diego e i loro due bambini hanno deciso di accogliere in casa Bakary, giovane del Gambia, che ben presto è diventato parte della loro famiglia.
Quando un anno fa ci siamo resi disponibili per accogliere un ragazzo in famiglia, eravamo mossi principalmente da una ragione sociale: fare qualcosa di concreto di fronte al dramma quotidiano degli sbarchi in Sicilia.
Aprire la nostra casa per un breve soggiorno, ci sembrava un’esperienza alla nostra portata, con due bambini di 3 anni e 1 anno e due lavori impegnativi.
Bakary, 18 anni, originario del Gambia, è arrivato il mercoledì della settimana di Pasqua.
Per lui avevamo preparato la stanza dei nostri piccoli, momentaneamente trasferiti in camera nostra.
Diego, mio marito, ha preso due giorni di ferie per accogliere fin dal primo giorno Bakary e trascorrere tutta la settimana insieme.
Entrato in casa ci ha chiesto per prima cosa dov’era l’est (per pregare verso la Mecca) e la rete wi-fi per dare notizie alla sua famiglia. Ci ha conquistato subito con i suoi occhi intelligenti, il suo modo discreto e il suo grande desiderio di parlare e condividere.
D’accordo con i promotori del progetto, non avevamo pensato grandi programmi per quei giorni: solo condividere la quotidianità, passeggiare per la città, giocare con i bambini, andare a trovare amici e parenti come siamo abituati a fare nelle giornate di vacanza. Dai nostri genitori, ai nipoti, agli amici più cari, tutti hanno espresso grande gioia per questa novità.
Bakary è diventato subito parte della nostra famiglia, con semplici gesti: spingere il passeggino con sopra il piccolo, disegnare con la bimba più grande, caricare la lavastoviglie (informandosi su come funziona questo strano macchinario!), guardare un film in compagnia, cucinare insieme uova, cipolle e manioca!
Giovedì mattina, passeggiando per un parco della città, ha voluto consegnarci il racconto del suo terribile viaggio, attraverso il deserto del Niger, la Nigeria e la Libia. Non ha risparmiato nessun dettaglio: dai compagni di viaggio uccisi, a quelli che impazziscono per la paura, dal carcere in Libia e la fuga nelle campagne, all’attraversata del Mediterraneo con il gommone bucato.
Abbiamo letto tante volte queste storie, ma sentirle raccontare in prima persona ci ha lasciato senza fiato.
Nei giorni sono emersi racconti drammatici anche della vita in Gambia, da dove è dovuto scappare, e dei centri di accoglienza, in Italia, dove a volte l’assenza di prospettive rende le giornate lunghe e interminabili.
Nei giorni ci è stato chiaro che questa esperienza non finiva con la settimana di Pasqua. Abbiamo sentito il desiderio di darci subito un arrivederci.
Ci siamo seduti in un bar e gli abbiamo detto: “siamo la tua famiglia italiana, da ora puoi contare su di noi”. Il futuro è tutto da organizzare ma una cosa è certa: i confini della nostra famiglia, e del nostro cuore, si sono allargati per sempre.