Famiglie senza confini, per andare oltre gli schemi

Fare Sistema Oltre l’Accoglienza ha avviato una collaborazione con Famiglie Senza Confini, progetto promosso dall’assessorato al welfare, alla città solidale e inclusiva del comune di Bari. FSOA e FSC hanno [...]

Fare Sistema Oltre l’Accoglienza ha avviato una collaborazione con Famiglie Senza Confini, progetto promosso dall’assessorato al welfare, alla città solidale e inclusiva del comune di Bari. FSOA e FSC hanno in comune lo stesso terreno su cui agire, la stessa mission: occuparsi dei percorsi di autonomia dei minori stranieri non accompagnati e neomaggiorenni. La collaborazione ha un obiettivo specifico: sensibilizzare l’azione delle famiglie e dei volontari. Come? Lo abbiamo chiesto a Miriana De Astis, assistente sociale presso il Comune di Bari, Ripartizione Servizi alla persona e referente di FSC

Miriana come è nata Famiglie Senza Confini?
Famiglie Senza Confini è un progetto nato a Bari nel 2018 su iniziativa dell’assessorato comunale al Welfare e si pone l’obiettivo di ampliare le occasioni di inclusione sociale, confronto interculturale e sostegno in favore di minori stranieri non accompagnati e neomaggiorenni, grazie a un percorso educativo di accoglienza presso famiglie, coppie o persone singole disponibili a offrire loro riferimenti affettivi ed educativi. Le esperienze maturate nel corso degli anni nell’ambito dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati ci hanno indotto riflessioni e interrogativi su quali potessero essere – in base a esigenze, specificità e bisogni di cui sono portatori – i percorsi di reale integrazione al di là degli aspetti diciamo più tecnici e materiali rappresentati sia dall’accoglienza residenziale presso strutture sia dal mettere a loro disposizione servizi essenziali quali il supporto legale. Ed erano i ragazzi stessi a metterci di fronte a una semplice realtà: essi avevano bisogno di relazioni sociali. Così abbiamo cominciato a ragionare sull’andare oltre, fare il passo successivo a quel fornire loro tutti i servizi di cui, pure, hanno bisogno.

Quale strada avete intrapreso?
Prima abbiamo tentato di rispondere al bisogno affettivo che ci veniva rappresentato dai ragazzi, che – ricordiamo – pur essendo definiti minori s.n.a. ruotano intorno a una fascia di età che in genere non è mai inferiore ai 15 anni: abbiamo dunque sensibilizzato percorsi di affidamento familiare. I quali però per quanto ancor oggi vengano favoriti e facilitati in base alle diverse soluzioni, non sempre conciliavano con le preferenze delle famiglie che si dichiaravano disposte a percorsi di affidamento si, ma di minori di una fascia di età nettamente più piccola. Allora ci siamo interrogati su come agire. Partivamo però da un punto fermo: volevamo coinvolgere attori estranei alla rete professionale di accoglienza. Volevamo cioè che questo “passo successivo” fosse fatto non da chi già lavora nel settore e ha un’inclinazione professionale a ciò, ma da persone che volontariamente si mettessero a disposizione dei ragazzi, in un’ottica di motivazione solidaristica.

E si è rivelata la strada giusta?
Sì. Il sostegno affettivo di chi si offre come volontario, famiglie o singoli, si è rivelato importantissimo. I ragazzi acquistano una maggiore fiducia nel futuro, nelle persone, in se stessi. L’aspetto relazionale inoltre, proprio perché “duale” innesca effetti per i ragazzi ma anche per famiglie e adulti accoglienti sotto il segno della reciprocità.

Ragazzi e famiglie: in cosa consiste questa “relazione” che si viene a creare?
Trascorrono del tempo assieme: vacanze, fine settimana, incontri settimanali. Dipende dalla disponibilità e dalle esigenze sia del ragazzo sia della famiglia. Condividono soprattutto i momenti di convivialità, come il momento del pasto, che diventa il luogo della contaminazione tra diverse culture. Quando senti dire qualcosa come “ho imparato a cucinare questo nuovo piatto” significa che c’è stato un scambio, qualcosa di bello è successo. C’è però un punto importante da sottolineare…

Quale?
Il sostegno affettivo offerto dalle famiglie volontarie non va a sostituire le famiglie di origine. Questi ragazzi spesso hanno già i loro punti di riferimento nella terra da cui provengono. I ragazzi, dicono, per esempio: “la mia mamma di Bari”. Il bello è che si creano nuove relazioni anche tra le famiglie italiane e quelle di origine: si “incontrano” con le videochiamate. E ho capito che per i ragazzi è un passaggio bellissimo, un momento di emozione: quando lo raccontano i loro occhi si illuminano. Ed è un aspetto che se pur avevamo previsto, è nato in maniera spontanea.

In genere quali famiglie si rendono disponibili?
Non abbiamo riscontrato un target specifico. Ci sono giovani adulti, famiglie sposate o conviventi, con o senza figli, ma anche pensionati. C’è anche chi, avendo i figli ormai grandi che vivono fuori, ha il desiderio di ridare vita alla propria casa, riempendola di sorrisi, abbracci, colori e vestiti sparsi. Ci sono giovani coppie che affrontano il grande impegno dei figli piccoli, e al contempo decidono di aprirsi a questa esperienza, perché – magari – intendono dare un insegnamento che si può riassumere in un “aprire le porte”, essere solidali.

Famiglie Senza Confini come segue questi percorsi di “relazione affettiva”?
L’Ufficio per il quale lavoro è composto da dieci assistenti sociali che seguono i ragazzi sin dal loro arrivo in Italia. Dopo una prima fase di ambientamento nel tessuto sociale, di conoscenza della struttura e di avvio del loro percorso di integrazione, valutiamo – assieme agli operatori della struttura accogliente, al tutore e soprattutto ai ragazzi – se sono interessati all’esperienza di Famiglie Senza Confini. All’inizio i ragazzi vivono una fase di sospensione, di attesa, in cui a tratti sono anche impauriti dall’ignoto. Poi, se il rapporto “va bene” allora poco alla volta diventa un rapporto autonomo che non ha più bisogno della nostra presenza. Facciamo in modo che la relazione acquisti libertà, si sganci da noi. Naturalmente è un percorso graduale, spontaneo. Fermi restando i vincoli della struttura in cui sono ospitati. Non è infatti un sistema che sostituisce quello dell’accoglienza, ma lo integra.

Quale invece le iniziative che sosterrete insieme a Fare Sistema Oltre l’Accoglienza?
Con Fare Sistema ci siamo conosciuti da pochissimo, ma abbiamo capito che possiamo collaborare proprio su questi punti: l’andare oltre l’accoglienza. Il primo passo che faremo insieme è quello del corso di formazione on line per offrire alle famiglie un approfondimento su aspetti legali, sanitari e socio-relazionali legati al contesto dei minori migranti. Il primo di questi incontri si terrà il 20 aprile.

È importante che le famiglie si aprano a questo tipo di accoglienza?
È fondamentale, per Bari – il territorio in cui operiamo – come in tutte le altre città e regioni d’Italia. Bisogna andare oltre gli schemi dell’accoglienza “classica” e aprire le porte, veramente, agli altri.

 

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