Lella Pennisi è stata la docente del corso organizzato a Catania da Fare Sistema con i fondi dell’Unione Buddhista Italiana. È una donna dalla grande esperienza nel settore dell’inserimento socio lavorativo e non solo. In questa occasione ha trovato un taglio diverso per le sue lezioni. Ci spiega quale
“Abbiamo pensato di dare un taglio diverso, più settoriale, qualcosa che potesse servire nei percorsi lavorativi che questi ragazzi stanno intraprendendo”. Lella Pennisi ha insegnato italiano nel corso organizzato da Fare Sistema grazie ai finanziamenti dell’8×1000 dell’Unione Buddhista Italiana. Il corso si è svolto a Catania nel mese di giugno e Lella ci racconta com’è andata, lei che di esperienza nel settore ne ha molta: da circa vent’anni si occupa di intercultura, di assistenza legale ai migranti, di inserimento socio lavorativo, di insegnamento della lingua italiana L2, alternando periodi di lavoro e di vita tra la Sicilia e il Kenya, dove per alcuni anni ha seguito anche progetti legati ai bambini e ai ragazzi di strada.
“Valeria (referente FSOA per la Sicilia) mi ha illustrato il tipo di lavoro che state portando avanti con i MSNA e i neomaggiorenni accompagnandoli verso la totale autonomia. Abbiamo ragionato su quale poteva essere la struttura migliore da dare al corso e ci siamo trovate d’accordo sulla necessità di fare qualcosa di specifico, anche perché questi ragazzi già conoscevano l’italiano base”. L’insegnamento di Lella si è quindi concentrato su cose molto pratiche.
Dal momento che alcuni ragazzi stavano seguendo contemporaneamente un corso base di pasticceria o stavano lavorando come camerieri, Lella ha per esempio tenuto una lezione sulle parole che possono tornare utili quando si prende un ordine ai tavoli o in un dialogo nella sala e nella cucina di un ristorante; un’altra lezione è servita per spiegare i termini che si impiegano per compilare alcuni moduli burocratici, come un cambio residenza o la richiesta di un bonus al Comune: “Li ho ascoltati, ho provato a entrare nei loro mondi, altrimenti li avrei persi. Un corso che ripetesse quel che avevano già imparato in altre lezioni di italiano non poteva funzionare. Ci voleva qualcosa che li interessasse veramente”.
E questo taglio si è rivelato quello giusto, perché i ragazzi hanno partecipato con curiosità e impegno. Maka, un giovane del Mali nonostante la sera lavorasse fino a tardi, l’indomani era regolarmente a lezione; c’era anche Abdoul, con il suo sogno di aprire un ristorante; e tre donne – la mamma e le due figlie – che alla fine del corso hanno preparato per Lella il loro piatto tradizionale, l’enjera (una sorta di pane realizzato con la farina di teff – ottenuta da un cereale coltivato in Etiopia – che accompagna carne e verdure): in tutto dieci alunni.
“Nel primo periodo dell’accoglienza è vero che i ragazzi seguono corsi di italiano – spiega ancora Lella Pennisi – ma è una fase in cui spesso sono poco concentrati perché hanno tante preoccupazioni e ansie e l’apprendimento non è facile, bisogna trovare il modo giusto. Sono giovani che avrebbero tantissime risorse e hanno affrontato tante difficoltà, ciascuno con la propria storia”. Conclude: “È necessario prestare attenzione e seguirli nella determinazione del loro percorso di vita”.