Nove anni fa Abdallah è scappato dalla sua città, Homs, devastata dalla guerra. Da allora ha già cambiato vita due volte. Non avrebbe mai immaginato di venire in Italia e di “cambiare sogni”. Oggi, seguito da Fare Sistema, svolge un tirocinio presso Leroy Merlin e pensa ai suoi nuovi progetti
I ricordi di Abdallah sono netti e precisi, ha ben impresse nella memoria soprattutto le date. Una, in particolare, segna una linea di demarcazione precisa nella sua vita, il 7 ottobre 2012, giorno in cui il ragazzo – oggi trentacinquenne – è scappato dalla Siria.
Abdallah viveva a Homs, “era una città tranquilla e bella”; frequentava l’università, “stavo quasi per laurearmi in letteratura araba”; e aiutava il padre nella vendita di automobili. Di quel prima racconta: “Avevo i miei parenti, i miei amici. Facevamo quello che si fa in una vita normale, come studiare, lavorare, andare al mare. La Siria era un Paese bellissimo, con il deserto, la montagna, il mare. Ho tante memorie di allora”. Dice così, Abdallah, memorie come a indicare un tempo lontanissimo in cui a Homs abitava in una casa con la mamma, il papà, due sorelle e un fratello. Cosa ricordi di più? “La mia stanza e il profumo del gelsomino bianco, il fiore simbolo della Siria”.
Quasi all’improvviso la vita è cambiata del tutto: il 15 marzo 2011 è scoppiata una scintilla che ha incendiato la Siria, facendo deflagrare il conflitto. Quello che Abdallah riassume in poche frasi è il dramma di un popolo che scivola dentro un clima di violenza sempre maggiore all’interno di un conflitto che dopo dieci anni non è ancora terminato e che vede coinvolti anche Paesi stranieri. Dopo le memorie belle, per Abdallah sono arrivati i ricordi brutti. Era il 7 ottobre, nella sua città c’è stato un massacro che ha causato la morte di 500 persone: “Non avevamo idea di quello che poteva succedere e allora abbiamo deciso di fuggire. Siamo stati fortunati, perché chi è rimasto è morto. Anziani, bambini, nessuno si è salvato. La nostra casa è distrutta. La mia camera non esiste più”.
A bordo di un pullman la famiglia di Abdallah raggiunge la città di Tripoli nel nord del Libano, dove rimane per “sette anni, otto mesi e 22 giorni”. Perché tanta precisone nel conteggio del tempo? “Perché non era una vacanza. Ho dovuto lasciare all’improvviso la mia città e miei amici, i miei vestiti, le mie fotografie. Non avevo niente con me. Ho sofferto molto in Libano: non è il Paese migliore per i rifugiati, non c’è nessuna assistenza, né tutela legale. Anzi non si è considerati nemmeno rifugiati, e non hai nessun diritto. Io ero un attivista, facevo il volontario e lavoravo con alcune onlus”.
Ancora una volta Abdallah è costretto a cambiare vita all’improvviso. Viene arrestato in Libano e trascorre otto giorni in carcere. “Io non volevo partire di nuovo, perché volevo rimanere vicino alla Siria. Il mio sogno era partecipare alla ricostruzione del mio Paese, vederlo finalmente in pace. Non avevo mai pensato di venire in Europa. In tanti partivano, io no, ero convinto di poter ancora cambiare le cose”. Ma con l’arresto per la sua attività politica, Abdallah capisce che è necessario che si allontani. La Comunità di Sant’Egidio lo aiuta a venire via grazie al corridoio umanitario, il progetto che permette ai profughi di entrare legalmente sul territorio italiano e di presentare domanda di asilo. “Ero solo. La mia famiglia è rimasta in Libano. Non sapevo nulla di questo progetto e non avrei mai pensato di andare a Roma. Invece, atterrato a Fiumicino c’erano questi tre ragazzi di una comunità di famiglie che vivono in un casale. Un mio amico gli aveva parlato di me e si erano offerti di ospitarmi. Non parlavo italiano, mi hanno detto semplicemente vieni a casa nostra. Sono stato con loro quasi due anni, dal 25 settembre 2019 al 10 giugno scorso. Mi sono trovato benissimo. È un casale in mezzo al verde, non ci soni chiavi, si vive tutti insieme”.
Nel 2021 Abdallah entra nel programma FSOA, e grazie ai fondi dell’8X1000 dell’Unione Buddhista Italiana inizia un tirocinio nel settore amministrativo di Leroy Merlin Roma Laurentina, “fin dal colloquio ho trovato persone gentili che mi hanno aiutato, mi hanno spiegato bene il lavoro da svolgere e come farlo. Il tirocinio dura tre mesi poi c’è la possibilità di rinnovarlo per altri tre”. E ora come stai? “Sono contento. Appena arrivato in Italia non ho potuto fare tanto perché c’è stata la pandemia. Però mi sono impegnato lo stesso, ho frequentato un corso online per il livello C1 della lingua italiana. Adesso vivo in un appartamento con altri ragazzi. Ho una fidanzata e nuovi progetti”.
Abdallah infatti racconta che i suoi sogni sono cambiati, sono diventati più realistici: “Voglio lavorare come mediatore culturale, tornare all’Università per continuare a studiare letteratura araba. Vorrei andare a vivere a Lecce, il Salento è la terra della mia fidanzata. Penso a una famiglia. Non ho più come obiettivo la pace in Siria: è un cosa troppo grande che non è alla nostra portata. Non dipende dalla volontà di una singola persona. Quando noi siamo scesi in strada – dieci anni fa – la situazione era più semplice. Adesso la guerra siriana è complicata, sono coinvolte altre nazioni. Si può risolvere solo a livello internazionale. È un sogno troppo lontano. Io voglio mettere le mie competenze in qualcosa di pratico”. I suoi piccoli sogni adesso sono una casa con un giardino, una camera in più per ospitare gli amici e un gatto. E riuscire a far venir via la famiglia dal Libano, in Italia o in Francia, comunque in Europa. Tuttavia il legame con la Siria rimane forte, si rinsalda attraverso il ricordo della sua vita di prima e i versi di uno dei suoi poeti preferiti, Nizar Qabbani. Cui si sono aggiunte, negli ultimi tempi, la passione per l’opera e la voce di Andrea Bocelli.