Cosimo Zanna è un dottore commercialista attento e disponibile nei confronti del prossimo. Riesce a mettere in campo idee, solidarietà e professionalità laddove ce ne sia bisogno. È segretario generale della Fondazione Casillo e ha creato – in Puglia – l’azienda Arc en Ciel, immaginata proprio per dare lavoro a chi ne ha necessità. Quando ha conosciuto Fare Sistema Oltre l’Accoglienza non si è tirato indietro e ha aderito al Programma senza esitazioni
Cosimo, come ti sei avvicinato a Fare Sistema Oltre l’Accoglienza?
Sono amico da sempre di Francesco Tortorella, responsabile dei progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo presso Amu. Ci conosciamo da anni. Condividiamo la passione per il sociale. Quando è partito il progetto FSOA – quattro e cinque anni fa, non ricordo bene – mia moglie e io ci appassionammo da subito. Ci piaceva l’idea di inclusione sociale che ne è alla base. Mi ricordo che fu organizzata una presentazione a Barletta e vennero degli ospiti. Tra questi c’era Youssuf: il ragazzo raccontò che nel suo Paese – il Senegal – faceva il panettiere. Mia moglie è un membro della famiglia Casillo, un grosso gruppo imprenditoriale con sede a Corato (è un’azienda leader nell’acquisto, la trasformazione e la commercializzazione del grano). Quindi la nostra attenzione fu subito colpita da questo ragazzo che in fin dei conti faceva qualcosa di simile alla tradizione di famiglia. Ma all’epoca non sapevamo bene cosa fare.
Poi cos’è scattato?
Nel 2017 ci chiamò proprio FSOA per proporre alla Fondazione Casillo (di cui Cosimo è segretario generale, ndr) di fare da capofila in Puglia ai loro progetti. Non ce la sentivamo di assumere un ruolo così importante, ma volevamo comunque far parte di questa rete. Allora è iniziata l’avventura di Arc en Ciel.
L’arcobaleno?
Sì, l’arcobaleno. Questo è il significato dell’espressione francese arc en ciel. È una scelta precisa questa del nome: per me l’arcobaleno è il simbolo dell’amore tra Dio e gli uomini. È di buon auspicio.
E hai fondato una società con questo nome?
Abbiamo fondato, mia moglie e io. Volevamo fare qualcosa di nostro, qualcosa che servisse a dare lavoro a chi ne avesse bisogno. All’inizio l’azienda si occupava di lavaggio a vapore a domicilio per le automobili. In pratica si andava su un posto di lavoro e mentre i proprietari erano presi dalla propria occupazione, gli operai della Arc en Ciel pulivano le loro automobili rigorosamente a vapore. In questo c’era un doppio vantaggio: la componente ecologica e l’aspetto dell’integrazione.
Chi lavorava in questa azienda?
Due ragazzi. Un italiano e un migrante beneficiario di Fare Sistema: Claude.
Raccontami di Claude.
Veniva dalla Costa d’Avorio e aveva un carattere introverso. Ma era uno che lavorava sodo. Aveva trovato un alloggio qui a Corato con l’aiuto di alcune famiglie, aveva preso la residenza ed era riuscito anche a superare l’esame per la patente. Aveva però una fidanzata a Catania e dopo un anno ha deciso di raggiungerla. Era timido: non aveva il coraggio di dircelo, ma lo aveva confessato al referente FSOA. Gli abbiamo detto che poteva andare: ormai aveva acquistato la piena autonomia ed era in grado di camminare con le sue gambe. Ora è a Catania.
Dopo Claude avete assunto qualcun altro?
Dopo Claude è arrivato Jean. Caratterialmente, l’esatto contrario. I due abitavano a Corato insieme, e quando Jean ha saputo che il suo amico stava per andare via ha chiesto se poteva sostituirlo in azienda. È un tipo in gamba, appassionato di recitazione, conosce De Andrè e parla bene l’italiano. Adesso è lui il beneficiario del programma FSOA.
Sempre con Arc en Ciel?
Certo, sempre con la nostra piccola azienda. Però abbiamo cambiato attività. La pulizia a vapore delle automobili non era conveniente: il costo del lavoro superava i ricavi. Così abbiamo cambiato direzione: adesso ci occupiamo di servizi di pulizia industriale straordinaria. L’Arc en Ciel impiega cinque dipendenti, tra cui due migranti, Kinny e Jean. Ambedue rientrano nel programma FSOA. Stiamo pian piano raggiungendo la sostenibilità economica. Ed è importante che ci siano italiani e stranieri assieme, a svolgere la medesima attività, così si fa l’integrazione.
Tutto questo che mi hai raccontato implica un impegno continuo anche da parte tua. Perché lo fai Cosimo?
Bisogna aiutare chi ha fame di lavoro. Sono ragazzi che si impegnano senza risparmiarsi. Ed è il minimo che io posso fare. Sento di essere in debito con la vita. Devo poter ricambiare.