Il tirocinio di Alhagi è stato trasformato in un contratto di apprendistato presso la Fattoria Francescana di Tortoreto. Attorno al ragazzo, in Abruzzo, si è costruita una rete di solidarietà contagiosa. Come fosse un’onda
Tutti conoscono Alhagi a Tortoreto. Così capita anche che quando cammina per strada incontri il sindaco della cittadina abruzzese e si metta a parlare con lui, poi torna a casa, da Salvatore, e gli dica: “Con il sindaco abbiamo detto che a settembre posso provare a entrare in una squadra di calcio”. Ma il calcio è solo l’ultima iniziativa, in ordine di tempo, che vede Alhagi coinvolto in una rete di solidarietà, appoggio e inclusione che si allarga sempre più. Una rete che ora si arricchisce anche del contratto di apprendistato che Alhagi ha da poco firmato con l’azienda di Salvatore.
“Nonostante le difficoltà dovute all’irrompere dell’emergenza Covid-19 – dice Salvatore – una volta terminato il tirocinio siamo riusciti a fargli un nuovo contratto, di apprendistato, che è anche più costruttivo per lui perché frequenterà dei corsi e si integrerà ulteriormente”. Salvatore ha un’azienda zootecnica sulle colline tortoretane, la “Fattoria Francescana” – dove trasformano il latte in formaggio – e Alhagi è un ragazzo gambiano arrivato in Italia nel 2017 e beneficiario del programma Fare Sistema Oltre l’Accoglienza promosso da AMU, AFN e Fo.Co. I due si erano incontrati un anno fa, quando era iniziato il tirocinio. Da allora Salvatore gli ha aperto le porte della solidarietà, ma anche quelle di casa. “Alhagi è un guaio” dice, ma la voce è di chi scherza e il tono è di chi nutre un grande affetto.
Alhagi abita con la famiglia del suo datore di lavoro, si alza presto la mattina, alle 6 e trenta è già in mezzo alle capre per mungerle e portarle al pascolo. Prima del lockdown frequentava anche un corso di italiano presso la sede di Giulianova del CPIA di Teramo. La sua insegnante, Rosaria, ha solo parole di elogio: “È una persona speciale, appena entrato in classe è risultato subito simpatico a tutti. Sicuramente era andato pochissimo a scuola in Africa, e aveva difficoltà a scrivere in corsivo. Gli ho dato un quadernino per esercitarsi e lui ci si è messo d’impegno. Si vede che è un ragazzo integrato, con una famiglia italiana che lo segue. È molto motivato: è venuto fino all’ultima lezione prima del blocco per il coronavirus. Me lo ricordo quel giorno: aveva una sciarpa attorno alla bocca per proteggersi, ma voleva stare in classe”.
La classe di Alhagi è composta da una quindicina di persone straniere: venezuelani, marocchini, tunisini, albanesi. “Lui era sempre vicino a una signora venezuelana che all’inizio si manteneva scostante ma poi l’aveva preso a benvolere”. Ora mancano 45 ore di lezione perché Alhagi possa prendere il diploma A2 che gli permetterà fare il test per l’ingresso alle scuole medie. Rosaria è una maestra di scuola primaria che due anni fa ha deciso di mettersi in discussione e di continuare l’insegnamento in un corso per stranieri. Anche lei fa parte della “rete” in cui si muove Alhagi e che Salvatore ha contribuito a costruire fin dall’inizio: “Quando il ragazzo ha una necessità la espongo alla comunità e tutti si muovono di conseguenza. Io faccio da intermediario, poi si agisce tutti insieme”. Come è successo quando c’è stato bisogno delle cure dentali.
Nel suo Paese le cure dentali sono difficili e possono diventare anche pericolose date le condizioni sanitarie. Alhagi da quando è arrivato in Italia ha avuto problemi con i denti. Così Salvatore ha chiamato il suo amico Tonino che di mestiere fa proprio il dentista: “Nel mio studio vengono tante persone che non possono pagare. Anni fa ho conosciuto il Movimento dei Focolari, voglio vivere il Vangelo, cerco di aiutare chi posso, con Alhagi poi di fronte a tanta sofferenza non si riesce a essere indifferenti”. La solidarietà è un’onda che tocca le coscienze delle persone, aggiunge. “Io ho fatto la mia parte. Ma poi bisognava pagare la protesi. Ho raccontato la sua storia al tecnico il quale mi ha risposto “Non ti preoccupare” e ha offerto un contributo. Quando ho detto ad Alhagi che avremmo potuto curare i suoi denti, ha sorriso: “Tu sei amico mio”.
Alhagi è contento della sua vita abruzzese: “Io devo andare sempre avanti, mi piace studiare, voglio lavorare, andare in palestra, andare in bicicletta”. Questa è quella che lui chiama la “bella vita”. Per Salvatore è come un figlio, condividono casa, lavoro, spazi, pranzi e cene. “Ovunque io vada lui viene con me. La merita tutta questa fiducia, è molto in gamba e noi dobbiamo smetterla di ragionare per stereotipi, concetti di massa, pregiudizi. Ha ricevuto un’educazione molto ferrea, ha rispetto per le regole e per il prossimo”.
L’estate Alhagi la passerà lavorando, perché è il periodo più intenso per l’azienda. Poi a novembre di quest’anno o forse del prossimo, vorrebbe andare a trovare i genitori che cerca di aiutare economicamente da qui. Proprio perché la solidarietà è un’onda.