Diario di bordo di Dino Garrafa, un educatore professionale della casa di accoglienza per minori stranieri “Casa Ismaele” in Calabria, dove 11 ragazzi beneficiari di FARE SISTEMA OLTRE L’ACCOGLIENZA sono, come tutti noi, in auto-isolamento a causa della pandemia di Coronavirus.
Oggi 21 marzo è primavera. La caffettiera borbotta in cucina mentre infilo i guanti in lattice. Indosso la giacca e bevo il caffè sollevando la mascherina sulla fronte. Sembrano lontani i tempi in cui sorseggiavo un espresso amaro al bar prima di cominciare la giornata di lavoro. I bar sono tutti chiusi da settimane.
Prendo l’auto e attraverso le strade quasi deserte. Anche i negozi che in primavera espongono fuori dal negozio ghirlande e girandole colorate giganti hanno chiuso bottega. Fuori dai supermercati giovani e anziani, con gli occhi assorti, composti e rassegnati, attendono il proprio turno soffocando uno scontato “buongiorno” nelle mascherine sterili. E pensare che oggi è primavera.
Esco dall’autostrada a Rogliano e una pattuglia della polizia mi invita ad accostare.
– Buongiorno, patente e libretto.
– Prego.
– Dove è diretto?
– Lavoro a “Casa Ismaele”, una casa famiglia per minori stranieri non accompagnati, a Rogliano.
– C’è l’ha l’autocertificazione?
– Sì, prego.
– Attenda un attimo. Bene può andare. Buon lavoro.
– Buon lavoro a lei.
Arrivo a Casa Ismaele dove all’entrata campeggia uno striscione con un arcobaleno e la scritta “Andrà tutto bene”. “ Andrà tutto bene” – penso a mia figlia di nove anni, l’ho lasciata dormire nel lettone , non sa ancora che oggi è primavera.
Entro in casa, saluto con un cenno Toumany e Abu che rispondono e poi tornano ad ascoltare con il telefonino in viva voce, sermoni e preghiere in una lingua a me sconosciuta. Toumany e Abu lavoravano all’esterno, ma da qualche giorno sono chiusi in casa anche loro.
Poi do uno sguardo al “Vademecum elaborato sugli esiti della valutazione del rischio biologico da Covid – 19” e attivo la procedura. Il mio è un livello di rischio 2, come tutti gli educatori e operatori sociali.
Lavaggio mani, gel disinfettante, nuovi guanti in lattice, misurazione temperatura corporea, sanificazione postazione di lavoro …
Mi affaccio dal balcone, il cielo è di un azzurro vivido e in lontananza tra le case basse di paese in fondo al viale, scorgo un mandorlo fiorito. Neanche l’odore del disinfettante riesce a distogliermi da questo stupendo panorama da quadro naif.
Rompe l’incanto Abu che mi si avvicina con gli occhi disincantati ed un sorriso disarmante. “Dino devo tagliare i capelli.” mi dice. “Abu caro , no, non si esce, c’è il Coronavirus, non si può” rispondo, invitandolo a tenersi lontano di un altro metro da me. Non è semplicissimo dire un “no” a due metri di distanza, ma questa è la regola. Abu sorride. E’ consapevole di aver detto una sciocchezza. Il suo sorriso bianco sulla sua pelle ebano mi ricorda che oggi è primavera ed io voglio che qui in casa famiglia, nonostante tutto, sia primavera.
Pian piano, alla spicciolata, scendono tutti, il sole è alto. Ibrahim, Mohamed, Madi, Moses, Arouna, Kolli, Ba. Uno scalpitio di ciabatte giù per le scale, la casa si riempie, la vita comincia.
Arriva Atef con il telefonino in viva voce e una musica araba a tutto volume. Atef, egiziano, ha un passo fiero e regale ma non è consapevole, mi guarda preoccupato e dice: “625, ieri 625 morti in Italia. 165 hanno il Coronavirus in Egitto”. Sono informatissimi, consultano i social e chiedono continuamente del “Corona”.
Ba toccando il termosifone: “Virus ha paura del caldo. In Africa più caldo di questo termosifone” e sorride.
Il profumo della cucina africana si espande in tutta la casa. La musica trap egiziana fa da sottofondo all’odore di cipolle, spezie e carne fritta. Oggi cucina Kolli, maliano con gli occhi innocenti, capelli rasta e qualche parolaccia di troppo.
Ecco il giovanissimo Salah, marocchino si è svegliato adesso ed è già attaccato ai videogiochi del suo telefonino. Intanto adesso la musica è cambiata c’è Mhamood con la sua “Barrio” e Ghali con “Cara Italia”. “Cara Italia” e profumo di spezie orientali. E’ primavera.
La musica ci accompagna per tutta la giornata, mentre dalla stanza ludica proviene il rombo di un’automobile della playstation. C’è chi parla con le proprie famiglie in videochiamata; Moses, ghanese, due occhi tondi, arrivato in Italia con il sogno di fare il calciatore, gioca a pallone in un cortile di 20 metri quadrati immaginando di essere all’Olimpico della Roma. C’è chi studia l’italiano o la patente al computer, chi lava i piatti e chi cucina.
Sembra una giornata normale, ma non lo è.
Oggi sono due settimane che i ragazzi non escono di casa a causa dell’emergenza Covid-19. Mi chiedono di giocare al Calcio Balilla : Io sono una schiappa, ma ci provo comunque. A noi educatori spetta di condividere con loro le giornate nel modo più sereno possibile.
Alle 17.oo, come da protocollo, ci si misura tutti la temperatura e poi si provvede per la cena, mentre io provo a fare lezione d’italiano ponendomi ad una distanza di due metri dai miei giovani allievi.
Dopo cena si parla di Coronavirus, ma anche di progetti futuri, delle città egiziane e delle capanne senegalesi, di chi faceva il macellaio, di chi, muratore, riusciva a prendere 10 mattoni per volta; di come sono arrivati in Italia, loro, minori, dall’Africa. Il viaggio. I campi. La barca. La Sicilia. La Calabria.
Sono giovanissimi e forse tacciono qualche esperienza troppo dolorosa.
Passa silenziosa la notte. E’ mattina. Misuro la temperatura, infilo guanti e sanifico la postazione computer. Arriva il mio collega a darmi il cambio. Il turno è finito. Entro in auto.
Lascio Casa Ismaele e i ragazzi. Infilo la mascherina. C’è il sole. Andrà tutto bene, per noi, per loro. Nonostante tutto è primavera.
Oggi, 22 marzo 2020 ore 11.00, non so quando potrò riprendere servizio. Con una Ordinanza della Regione Calabria, il comune di Rogliano è stato chiuso sia in entrata che in uscita, a causa dell’emergenza Covid – 19.
Dino Garrafa