Migliaia di profughi visti in tv. Masse anonime. L’esperienza di Gloria e Danilo. Un giorno alla loro porta bussa Soufiane, un giovane marocchino che vendeva fazzolettini porta a porta. E tutto cambia. Il progetto Fare sistema oltre l’accoglienza
La voce di Gloria Portioli al telefono è giovane, cristallina: «Non è la prima volta che ci misuriamo con l’accoglienza di minori stranieri. Abbiamo sempre avuto gente per casa. Per noi è una cosa normale. La prima volta è successo una ventina di anni fa, quando il più grande dei nostri figli aveva circa quattordici anni».
Quei dati collocano l’età di Gloria un po’ più avanti rispetto all’immagine che di lei mi ero costruita finora, basandomi esclusivamente sul timbro della sua voce. Così, un po’ spudoratamente, cerco chiarimenti: «Scusa Gloria, ma quanti anni avete tu e tuo marito?».
«Sessanta e sessantadue. E abbiamo quattro figli grandi, tutti tra i 25 e i 35 anni. Quando il maggiore aveva circa 14 anni, ha bussato alla nostra porta Soufiane, un giovane marocchino che vendeva fazzolettini porta a porta».
Gloria mi racconta della loro casa a Mantova, senza cancello né muro, dove molti si affacciavano per vendere qualcosa e che poi, tra una chiacchiera e l’altra, finivano inevitabilmente per fermarsi anche a pranzo.
«Parlando, abbiamo scoperto che Soufiane viveva in un pollaio. Ma non per modo di dire. Ci viveva sul serio. Così, abbiamo cercato di aiutarlo, per prima cosa, a trovare un lavoro…».
Soufiane comincia a lavorare presso un fornaio, e i coniugi Portioli decidono di prenderlo in casa con loro e di accompagnarlo durante quell’esperienza.
«La cosa bella, nel suo caso,» mi confida Gloria «è stata che siamo riusciti a far trovare un lavoro anche al suo papà, e così, si è potuto fare la ricongiunzione familiare anche con la mamma e la sorella. Io e Danilo, infatti, ci stavamo rendendo conto che Soufiane stava pian piano perdendo la sua lingua e la sua cultura, invece, l’arrivo della sua famiglia gli ha ridato quell’equilibrio necessario a farlo crescere sano e integrato».
Oggi, Soufiane è sposato e ha 3 bambini, ed è come un altro figlio della famiglia Portioli.
Con questa sensibilità di partenza, Gloria e Danilo, qualche tempo fa, si sono messi a disposizione del progetto “Fare sistema oltre l’accoglienza“. Un progetto promosso da AMU, AFN e la Cooperativa Fo.Co. di Ragusa, che è nato per favorire l’integrazione sociale e lavorativa dei giovani prossimi alla maggiore età o neo-maggiorenni, sia italiani che stranieri, che si trovano in condizioni di vulnerabilità economica e sociale, per offrire loro una rete di aziende e famiglie su cui contare e percorsi di formazione breve, evitando anche il pericolo del loro reclutamento da parte delle organizzazioni criminali.
Racconta Gloria: «Scoprire l’esistenza di questo progetto ci è sembrata una risposta alla domanda che sempre ci eravamo posti di fronte al dramma, al grido, dei profughi che arrivano nel nostro paese: e noi cosa possiamo fare?»
Così, comincia l’esperienza di Gloria e Danilo nel progetto, che prevede anche la creazione di una rete nazionale di aziende e famiglie, con nodi territoriali per l’accoglienza e l’accompagnamento all’inserimento socio-economico dei giovani coinvolti.
«Ad agosto scorso è arrivato Abass, un giovane del Mali. Si trattava di offrirgli un periodo di vacanza con l’obiettivo di fare conoscenza, fare da mediatori tra le nostre culture, essere un tramite per nuove esperienze e diventare un punto di riferimento per la sua vita».
Abass è gioviale, ma anche timido ed educato, si apre con loro a poco a poco.
«Con lui abbiamo rivissuto il trauma del viaggio e i suoi sogni, ci siamo interessati alla sua famiglia e lasciati coinvolgere dai racconti della vita nel suo villaggio, nella savana del Mali. Abbiamo vissuto esperienze di dono reciproco nel condividere la vita semplice di famiglia, nell’emozione del suo primo viaggio in treno, nel fare la sua prima barba con Danilo, nell’andare per città e musei, dato il suo interesse per la storia. Abbiamo aiutato Abass con la lingua italiana e lui ci ha insegnato molte espressioni della sua lingua: il bambara».
Ma da Abass, la famiglia Portioli impara anche qualcosa della cultura africana:«Con lui, abbiamo condiviso l’ideale di fare di tutto il mondo un villaggio, dove tutti si è parte della stessa grande famiglia».
Ora Abass è tornato al Centro di accoglienza di Catania ma il rapporto con Gloria e Danilo continua:«Ci sentiamo spesso, partecipiamo alla sua vita. Ci fa conoscere e parlare per telefono con i suoi amici. Ora ci rendiamo conto delle importantissime opportunità che offre questo progetto: un corso di formazione professionale, l’avvio al lavoro, e … una famiglia!».
Una famiglia che rimane un punto di riferimento, anche se a distanza.
«Un giorno Abass ci ha scritto: «Anche se saremo lontani i nostri cuori saranno sempre uniti, io sarò sempre il vostro Tamba». Che in bambara significa: “il figlio prediletto”!.
Gloria, al telefono, mi racconta ancora tante cose: la storia di un altro ragazzo accolto, questa volta della Costa d’Avorio, della gioia di poter condividere l’esperienza del progetto con un’altra famiglia di Mantova. Ma quel che mi colpisce di più me lo dice chiudendo la nostra chiacchierata:«Aver fatto questa esperienza ti cambia la prospettiva… Intendo, sul discorso profughi. D’improvviso, ti trovi di fronte ad una persona. In tv, vediamo sempre tanti che arrivano, ma con questo progetto tu incontri una persona. È Abass, non uno dei tanti. È come qualcuno che esce dallo schermo della televisione per venire ad abitare con te. Questo cambia tutto, cambia la prospettiva da cui guardare alle cose».